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04/04/11

Tutta mia la città. Diario di un bike messenger


Tutta mia la città.

 

 

Diario di un 

 

 

 

bike messenger

 


Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” publichiamo oggi un estratto di “Tutta mia la città – Diario di un bike Messenger” di Roberto Peia (Ediciclo Editore, Collana CicloStile, pag. 208 euro 13.00), fondatore del primo servizio milanese di corrieri in bicicletta.


I primi giorni sono stati fiacchi e un po’ demoralizzanti. Aspettare le telefonate su una panchina del parco Sempione o gironzolare con l’aria svogliata in piazzale Cadorna, vestiti da ciclisti, con messenger bag in spalla e cappellino old style, ti fa sentire un po’ fuori luogo e un po’ scimunito. Ti domandi se i passanti si chiedono perché con quella bici lì, così strana, che sembra quasi una bici da corsa, te ne stai fermo come un pensionato o giri a 5 all’ora nel traffico milanese invece di andartene a pedalare lungo i colli della Brianza o per le stradine della bassa lodigiana. Poi alla prima telefonata schizzi a 100 all’ora manco fossi un pistard ai mondiali di velocità! Ti chiedi se ce la farai ad arrivare presto; se il cliente ti aspetta prima; se ti ha detto oppure no che ha bisogno di una presa red, quella che deve essere consegnata entro 45 minuti; se non stai facendo un giro troppo largo; se era meglio tagliare per via Torino, ma c’è il pavè e ci impieghi dipiù … ahhhhrg!!! Calma!! calma… Milano è una città drogata. Lo si percepisce nei ritmi e nelle azioni di chi la vive oltre che nelle analisi delle sue acque; vale la pena qui ricordare, soprattutto ai non milanesi, i risultati dell’Istituto Ricerche Mario Negri di Milano che ha intercettato nelle acque reflue di Milano i residui delle droghe maggiori: la capitale lombarda primeggia per il consumo di cocaina e si conferma la capitale del consumo di cocaina in Italia con 40 dosi al giorno per 1000 abitanti. Ne viene sniffata1kg al giorno! Milano è come una persona assuefatta all’eroina: non è sicura perché non si cura. Non c’è armonia sul suo volto urbano. Sì, qua e là si vedono tracce vistose di rossetto e di fard, molte infiltrazioni di silicone, trapianti e liposculture, ma non si preoccupa se i reni filtrano bene, se la circolazione funziona, se non servono antidepressivi. Oppure si potrebbe anche dire che si notano frequenti e massicci interventi di photoshop, ma che l’antivirus non è aggiornato; che i tanti e asfissianti pop up che le gravitano addosso ne appesantiscono l’home page e tutto gira piano, sempre più piano, sempre più piano fino al crash finale! …
Oggi sono caduto. Per colpa del peggior mix che possa capitare ad un ciclista urbano: pioggia, pavè e rotaia. In Piazza XXIV maggio che, insieme a corso Lodi e Corso di Porta Romana fino a via Mazzini, si contende la maglia nera di peggior luogo pedalabile in città! Mentre pedalo cercando di tagliare i binari o di evitare i canyon che spesso intersecano il pavè, ho pensato che forse c’è una spiegazione al perché, nonostante le rotaie siano piazzate in posti dove non passa un tram da anni o dove è ormai palese che in quel canyon scorre un fiume carsico, non venga fatto nulla per rimediare: vogliono farla pagare a noi ciclisti, gli eretici del trasporto umano!!! Vogliono che noi si sappia, ogni volta che si passa in corso di Porta Ticinese, che lì, vicino a Sant’ Eustorgio, si ritrovava la “Compagnia dei Quaranta Crocesignati” , il gruppo di volontari (un antesignano delle moderne ronde?) che erano al servizio del Tribunale dell’Inquisizione, che aveva lì la propria sede,in quella chiesa, di fianco alla quale un tempo sorgeva il palazzo del capitano di Giustizia …
Il passaggio a livello di via San Cristoforo. Non passavo sotto le sbarre di un passaggio a livello da quando avevo 8-9 anni.Vicino alla cascina dei miei nonni, giù nella profonda padania cremasco-lodigiana, c’era unpassaggio a livello. Di quelli senza l’intervento umano, quindi le sbarre erano spesso abbassate e per lungo tempo. Ogni tanto inforcavo la bicicletta della zia Franca (me la ricordo ancora: azzurra, con la retina per impedire che la gonna entrasse nella ruota posteriore, qualche macchiolina di ruggine sulla pipa e sul manubrio) e me ne andavo in giro per la campagna. La cosa che mi piaceva e mi inorgogliva di più era quando mi mandavano, d’estate, a portare il barilotto di acqua e ghiaccio ai contadini nei campi: ricordo che quando mi vedevano arrivare sulla bici, smettevano di lavorare e si sbracciavano. E quando iniziavo a distribuire l’acqua, con il mestolo di rame (che particolare sapore aveva!!!) da cui bevevano tutti, piovevano pacche sulle spalle e ringraziamenti… Le mie prime consegne non erano molto urban.
“Al centro le periferie” era uno slogan elettorale di non ricordo più quale candidato alla carica di Sindaco di Milano di non so più quale anno. A Milano le periferie restano lontane dal centro e per chi pedala sembrano essere sempre più lontane. In centro si trovano ‘monumenti insigni’,‘permanenze’, ‘fulcri immutabili’. In periferia è più facile trovare ‘anonimi obbrobri’, ‘provvisorietà’,‘nuclei scardinati’. Tempo fa le chiamavano Coree, luoghi dove sorgevano dall’oggi al domani delle abitazioni costruite dagli immigrati stessi, allora clandestini del lavoro, arrivati per lo più dal meridione d’Italia. Oggi sorgono ancora nel giro di una notte, in luoghi ancor più nascosti, costruite da clandestini che stavolta arrivano dal meridione del mondo, con materiali ancora più poveri: ho visto baracche costruite con cassette della frutta e tenute insieme e impermeabilizzate con il domopack. Indro Montanelli già alla fine degli anni ‘70 diceva di rimpiangere le periferie che non erano più quelle di prima, dove la campagna iniziava a collegarsi alla città e dove c’era una cultura di vita che oggi non c’è più, schiacciata dalla televisione. In effetti più ci si allontana dal centro e più aumentano le parabole sui balconi. Sono quasi un’altra città… ad un certo punto pedali e, senza sapere il perché, ti rendi conto che stai oltrepassando un nuovo dazio, un nuovo confine. E subito dopo inizi a sentire lingue diverse, a vedere negozi con merci di altri paesi, a vedere visi e abiti di altri colori…
Ho detto che le paraboliche del Vigorelli sono spaventose perché io mi sono spaventato…Nei giorni della prima edizione del Bicycle Film Festival venne a Milano anche Lucas Brunelle, forse il più famoso e pazzo ciclo-video-maker americano (o del mondo?), autore di riprese mozzafiato di molte gare di messengers newyorchesi, che riprende con delle videocamere montate sul suo casco. In quella occasione chiese se vi fosse qualcuno disposto ad accompagnarlo in un veloce, nel senso di chilometri orari, tour della città. Era quello il periodo delle ultime gloriose ed emozionanti velocity, le gare antesignane delle alleycat milanesi, e così un gruppetto dei partecipanti a queste gare, che si facevano per lo più all’alba, si prestò a fare da ciclocicerone a Lucas. L’appuntamento fu proprio al Vigorelli, dove avevamo intenzione di fare vedere all’americano un altro dei luoghi storici della Milano a pedali: la bottega di Masi. Faliero Masi, corridore professionista negli anni ’30, è stato probabilmente uno dei più prestigiosi costruttori di biciclette italiani. Dopo il ritiro dalle corse, nel 1952 aprì la sua bottega proprio sottouna delle gradinate del Velodromo Vigorelli. Per la sua abilità di telaista fu soprannominato “il sarto”, e a lui si rivolsero campioni come Fausto Coppi, Fiorenzo Magni, Luison Bobet, Jacques Anquetil, Antonio Maspes, Eddy Merckx, Felice Gimondi, Vittorio Adorni e molti altri ancora per farsi “cucire” addosso delle bici su misura. La boutique di Masi è ancora lì, sotto una curva del Vigorelli. Oggi al posto del capostipite Faliero, c’è suo figlio Alberto ed era proprio lui che volevamo presentare a Brunelle. Ma mentre eravamo lì ad ammirare congiunzioni e guarniture, ecco arrivare sulla sua single speed Zanna che ci dice “ Ehi , ragazzi, c’è un cancello del Vigorelli aperto!” Ci siamo guardati vicendevolmente negli occhi e, come un sol uomo, abbiamo inforcato le nostre cavalcature – quasi tutti eravamo su bici a scatto fisso – e ci siamo lanciati sulla pista…
Roberto Peia*
*Roberto Peia ha cinquantacinque anni; giornalista professionista con esperienza sul web, in televisione, alla radio e sulla carta stampata. Ha inoltre esperienza del mondo consumerista italiano (Altroconsumo e associazioni a tutela del cittadino). Una grande passione e amore per la bicicletta lo spinge a fondare, insieme a due amici, UBM – Urban Bike Messengers, la prima società di pony express in bicicletta.


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